Reggio: i “Faber Quartet” aprono le Festività Mariane con il mito di Fabrizio De Andrè

Nostalgia. Fabrizio De Andrè è scomparso tredici anni fa, ma vista e considerata l’evoluzione che ha avuto la musica italiana, con il boom dei talent, i neomelodici e tutto il resto, dalla sua morte sembra essere passato molto più tempo, un secolo o giù di lì. De André è scomparso tredici anni fa, eppure nell’ascoltare il primo saluto del cantante dei “Faber Quartet” sembra di sentirlo rivivere in quella voce dal timbro inconfondibile che lo caratterizzava e che risuona molto simile nel petto di Marco Pinto. E la nostalgia si fa più mite, per un paio d’ore almeno.

In una fresca serata reggina di fine estate, dinanzi una buona cornice di pubblico entusiasta, i Faber Quartet hanno aperto le festività mariane. L’idea di interpretare De Andrè – spiegano – è nata per gioco, venendo da contesti musicali diversi si sono incontrati splendidamente in questo progetto e con un esperienza ventennale sulle spalle si sono poi sentiti sufficientemente maturi per affrontare un missione così gravosa: quella di perpetrare il mito del “Faber”. Una missione che ha permesso loro di cimentarsi in “Un Viaggio …” in giro per la Calabria e che li ha portati ad ottenere anche riconoscimenti importanti. Il gruppo è formato da Marco Pinto (voce e basso), Alfredo Gareffa (chitarre), Bruno De Benedetto (tastiere), Mimmo Condello (batteria); il loro è un repertorio molto ampio e variegato, che spazia con disinvoltura nel tempo del cantautore genovese, che salta apparentemente senza un criterio da un album all’altro estrapolando pezzi anche parecchio impegnativi come “Hotel Supramonte”, “Smisurata Preghiera”, “Canzone del Maggio”, “Creuza de ma”, e la splendida e decadente “Canzone dell’amore perduto”. Le esecuzioni sono per quanto possibile fedeli, senza irriverenti sortite interpretative; vengono proposti anche gli arrangiamenti della PFM, con i quali, tra il ’79 e l’80, De André regalò straordinarie versioni del “Pescatore”, del “Testamento di Tito”, di “Un Giudice” e di “Volta la Carta” tra le altre.

Quella di ieri, per il pubblico reggino e soprattutto per le giovani generazioni, è stata un’occasione straordinaria, quella cioè di ascoltare vera musica d’autore, anche se attraverso le esecuzioni di una cover band, alla base del quale vi è una strenua, profonda e dolorosa ricerca del più umile, del diseredato, del derelitto. De André ha cantato l’umanità che sta ai margini dell’umanità, ha celebrato la ribellione, l’ironia della sorte, l’amore e la morte, nel ’70, quando erano ancora ardenti le ceneri del movimento studentesco, ha scritto la “Buona Novella”, quando era tutto finito è uscito con la “Storia di un impiegato”, tutta la sua vita è stato un viaggio “in direzione ostinata e contraria” che rimane ai postumi come un monito: inversione di marcia Italia!

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